martedì 12 giugno 2012

L'aereo

Era la prima volta che mettevo ufficialmente il camice bianco: era iniziato il tirocinio , in Medicina Prima, e mi alzavo molto presto per essere puntuale. Ancora mi trovavo nella fase di eccitazione per essere entrato a far parte , se pur provvisoriamente , di una grande famiglia e dentro di me albergavo la speranza , di poter, un giorno non troppo lontano, vincere il concorso per diventare un ...Dottor KILDARE.
Bisognava preparare le cartelle e curare le anamnesi , in attesa della visita col Professore Bertelli, programmata per le ore 9. Entravamo nelle stanze dei malati , noi tirocinanti e la Professionale di turno, per assicurarci che i tutti fossero pronti nel letto e poi ci radunavamo in fondo al corridoio , per pochi istanti, insieme ai Medici di Reparto che avevano una loro stanza. 
Eravamo al 3° piano e da quella finestra  si vedeva solo una uniforme distesa di verde che invitava lo sguardo a spaziare fino alla Fornace di San Martino. Solo una costruzione , lontano, sulla sinistra , attirava l'attenzione. Dall'alto aveva la sagoma di un aereo , che dormiva raccolto , con le ali rilucenti sotto i raggi del sole, già alti a quell'ora.
E così lo avevo pensato e così lo chiamavo:l'aereo, che mi faceva compagnia e scandiva a suo modo i giorni che passavano. 
A distanza di anni era sempre lì , anche l'ultima mattina che ho parcheggiato la Yaris di Giacomo e mi sono avviato al lavoro, pensando quanto mi sarebbe costato, al ritorno, sollevare lo sguardo per l'ultimo saluto.

sabato 9 giugno 2012

Primo esame

Ero stato da poco iscritto al PHOTODIGITAL GROSSETO . Quasi con condiscendenza fui invitato a fare una fotografia ad un fiore per quella che io reputavo essere una prova di iniziazione. Nuova la macchina , nuovo l'obiettivo, nuova la sensazione, dopo vario tempo, di sentirmi sotto esame. Avevo una settimana di tempo per studiare il modo migliore per assolvere il mio compito ma solo la domenica mattina riuscii a portarlo a termine. Eravamo andati a Marina in bicicletta e mi facevano male gli occhi da quanto avevo scrutato i campi lungo la ciclabile alla ricerca di un soggetto che solleticasse  la mia NIKON D90 . Poi li vidi. Delicati svettavano sopra ciuffi di erba verde , leggermente inclinati ma determinati a resistere alle lusinghe del sole e agli scrolloni del vento. Una voce a Gabriella che stava ultimando il percorso e saltai giù. In un attimo cercai di ripensare a tutte le metodiche che avevo letto e ai consigli che avevo ricevuto in sede. Tutto sembrava facile a parole e molto complicato all'atto pratico. Scattai una, due foto e poi scappai . Mi sentivo come se avessi fatto la cosa più banale del mondo e e avessi reso eterno per sempre un semplice fiore di campo. Tutto molto semplice.
Il mio supervisore, il mercoledì sera, durante la riunione ebbe parole di elogio per la foto . Parole che io non capivo vista la semplicità del gesto e la normalità del risultato.
Fu soltanto quando ritentai la stessa foto nei giorni  a seguire che mi resi conto che non sempre si verifica la magia  e che i risultati non sono garantiti. E' forse la foto che amo di più.